Non si comprende come mai, ma del problema dei bambini ucraini che sono stati deportati in Russia, la piazza non manifesta, le croniche, i social e i tanti seguiti speciali, non ne parlano. Sembra, pare che un tristissimo silenzio sia calato come una pesante cappa su questa inquietate situazione. È, incredibilmente inspiegabile. Un mistero che sfugge alla logica e alla coscienza. Migliaia di bambini ucraini, strappati alle loro famiglie, deportati in Russia come trofei di una guerra insensata, e il mondo tace. La piazza, quella che sarebbe sempre pronta a ruggire per ogni ingiustizia, oggi resta muta, svuotata di voce e di passione.

Non scempio nell’oblio

Le cronache, che dovrebbero urlare questo scempio sulle prime pagine, si voltano dall’altra parte, distratte da frivolezze o forse complici di un silenzio che pesa come piombo. I social, megafono di ogni causa, da quelle nobili a quelle pretestuose, su questo dramma sembrano ammutoliti, persi in un vortice di superficialità. E poi ci sono loro, i grandi speciali, quelli che si vantano di scavare nelle pieghe della verità: dove sono? Perché non accendono i riflettori su questa ferita aperta, su questi piccoli fantasmi senza nome, bambini inghiottiti da un sistema che li vuole cancellare?

È più facile non parlare di questi bambini

Non si capisce, o forse sì: è più facile ignorare, scrollare oltre, fingere che non esista. Ma il problema c’è, è reale, e quel silenzio, quel tristissimo silenzio, è una cappa soffocante che ci rende tutti colpevoli. Quei bambini non hanno scelto la guerra, non hanno scelto di essere pezzi di un gioco geopolitico crudele. Eppure, sono soli, dimenticati, mentre noi, qui, ci giriamo dall’altra parte. È una vergogna che brucia, un’onta che dovrebbe scuoterci dal torpore. Ma niente. Solo silenzio. Un silenzio che urla più di mille parole.  Dove sono finiti quei piccoli volti, quegli occhi che hanno visto troppo, quelle mani che stringevano ancora il calore di una casa ora ridotta a macerie? Erano migliaia, strappati dalle braccia delle madri, caricati su treni e autobus come ombre silenziose, portati via da una terra martoriata per essere inghiottiti da un altro mondo, freddo e ostile. Non si sa. O forse non si vuole sapere.

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Un futuro ricco di incognite

Per quei bambini, si parla di campi, di “rieducazione”, di nomi cambiati e identità spezzate. Si sussurra di famiglie russe che li accolgono come se fossero pacchi smarriti, senza passato, senza radici. Ma chi sono oggi quei bambini? Sono ancora ucraini nel cuore, o il tempo e la propaganda hanno già scavato nelle loro anime, cancellando chi erano? Cantano ancora le ninne nanne che le loro madri sussurravano, o quelle melodie sono state soffocate da un silenzio imposto?

Un filo di speranza per quei bambini

Ogni tanto emerge una storia, un filo sottile di speranza: qualcuno che li ha visti, qualcuno che dice di sapere. Ma poi tutto svanisce, inghiottito da un buio che sembra infinito. Le loro voci non arrivano, le loro lacrime non si vedono. Sono fantasmi viventi, sparsi in una terra immensa, lontani da chi li cerca ancora, da chi piange ogni notte il vuoto che hanno lasciato. E noi, qui, ci chiediamo: che fine hanno fatto? Ma la domanda vera è un’altra: perché abbiamo smesso di cercarli? Perché il mondo ha chiuso gli occhi, lasciandoli soli in quel nulla che li ha presi?

Conclusioni

Quei bambini sono ancora là fuori, da qualche parte, tra il gelo e l’oblio. E il loro silenzio è un grido che dovrebbe spezzarci il cuore. Ma non lo fa. Non più.

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