Le competenze socio-emotive rappresentano una solida base per il successo in diversi campi professionali e contribuiscono alla crescita personale. In questo quadro, le scuole hanno l’opportunità unica di fungere da luogo accessibile per lo sviluppo di tali abilità. Ce ne parla approfonditamente il trainer francese Jonas Bendaou, formatore di riferimento per alcuni istituti superiori della Lombardia e responsabile sviluppo di Gruppobea Spa, una delle più importanti aziende di design e architettura italiana.
Abbiamo potuto partecipare ad alcuni momenti di stage in cui coinvolge i ragazzi e le ragazze durante il periodo scuola-lavoro. Oltre al programma di formazione, lei chiede agli studenti di portare ogni mattina due cose: una nuova parola italiana da presentare al gruppo di lavoro e discutere insieme una notizia estrapolata da Ansa. È singolare.
Direi che dovrebbe essere normale ovunque. Lo consiglio anche a casa. Qui in azienda abbiamo scelto il sito gratuito “una parola al giorno“. Gli studenti si registrano per ricevere ogni giorno etimo e spiegazione di una nuova parola. È una sveglia culturale a cui dovremmo tutti partecipare, perché le parole formano il pensiero. Regalano la possibilità di rafforzare concetti ed idee. L’utilizzo del nota agenzia di stampa ANSA, portale giornalistico che diffonde notizie che giungono direttamente dalla fonte, offre invece la possibilità di discutere di ciò che ci circonda, favorendo la costruzione di uno spirito critico. Le ragazze ed i ragazzi arrivano la mattina, costituiscono il gruppo di lavoro, riferiscono agli altri della nuova parola, si mettono in discussione, parlano di quel che provano dinanzi ad una notizia, si confrontano, crescono, preparano il lavoro, certificando ciò che ogni educatore sa: la formazione sociale ed emotiva ha un impatto reale dal punto di vista accademico.
Ci dica qualcosa in più in merito all’apprendimento socio-emotivo…
Vi è una robusta evidenza a favore dell’idea che l’apprendimento socio-emotivo sia utile per gli studenti a tutti i livelli educativi. Studi condotti su lunghi periodi, hanno scoperto che i programmi di intelligenza emotiva possono avere un impatto duraturo, riflettendo positivamente su molteplici aspetti come la propensione alla prosocialità, una migliore capacità di concentrazione e una riduzione dell’aggressività nel corso del tempo.
Quindi insegnare l’intelligenza emotiva aiuta gli studenti nel percorso scolastico e oltre? Un po’ quello di cui parlava il rinomato psicologo statunitense Daniel Goleman?
Sì, Goleman ha saputo raccontare qualcosa di nuovo, condensando idee che si allontanassero dal semplice concetto di quoziente intellettivo. La capacità di gestire le emozioni, l’empatia, la determinazione e molte altre competenze sociali giocano un ruolo cruciale nel determinare il successo dello studente e il suo futuro.
Veniamo alla domanda chiave. Lei ha alle spalle un importante percorso di studi in psicologia. Ritiene che le scuole siano preparate per fornire questo tipo di guida che si basa sull’intelligenza emotiva, al di là dell’aspetto accademico?
La scuola è fatta di aderenza a programmi tassativi, ma anche di passione e cuore. A volte questi concetti sono distinti tra loro e la differenza la fanno la predisposizione e la buona volontà. Probabilmente bisognerebbe impegnarsi a costruire qualcosa di più organico, coinvolgendo maggiormente i docenti e offrendo loro la possibilità di esprimersi per quanto portano dentro.
Quali capacità personali possono essere apprese a scuola?
Moltissime. Basta immaginare, ad esempio, la resilienza, la capacità nell’affrontare le avversità crescendo come persona. Una forte rete sociale è preziosa per costruire una migliore capacità di recupero. Ma lo è anche avere qualcuno che ci aiuti ad avere una visione positiva di noi stessi, che ci spinga ad avere fiducia nei nostri punti di forza, che ci aiuti a non avere paura delle nostre fragilità. Tutto questo è fondamentale per il benessere psicofisico e, di conseguenza, per la crescita personale. Credo che le scuole siano uniche e centrali, nella loro posizione, per contribuire alla costruzione di molte abilità.
Molti ostacoli al successo accademico e professionale non sono, quindi, legati solo alle competenze tecniche?
Per nulla. Uno studente potrebbe rinunciare ad un percorso per il fatto che non si sente capito dall’insegnante o ha ricevuto un feedback negativo attraverso una critica personale. Un litigio con un membro del team scolastico potrebbe voler dire, se non sufficientemente supportati, rinunciare alla partecipazione del lavoro di squadra. Vivere un errore come una colpa e non come elemento fondante per la crescita, è a dir poco catastrofico. Frustrazione, ansia, tristezza e difficoltà relazionali potrebbero rendere difficile completare compiti, partecipare alle lezioni e concentrarsi.
Così le emozioni non possono e non devono essere lasciate fuori dalla classe…
No. Non sarebbe possibile separarle dal contesto accademico. Non si possono compartimentare. D’altronde, tutti abbiamo reazioni emotive verso gli altri; tutti affrontiamo argomenti, sfide e ostacoli. Il lavoro scolastico non può e non deve riguardare solo il successo individuale, bensì deve fondarsi sulla collaborazione, sull’interazione con gli insegnanti e il feedback costante. Le competenze sociali ed emotive sono intrinseche ad ogni attività scolastica e la scuola con i suoi educatori può essere uno spazio efficace per i programmi di apprendimento sociale ed emotivo.